Così mi diceva il mio babbo quando usciva. Per non perdere l’allenamento mentre insegnava ai bimbi lo sport che ha amato di più nella sua vita: il calcio. Dopo qualche mese c’è stato il “Dai, vieni anche te!”. A 16 anni la risposta ve la potete immaginare, ma lui ha insistito e mi ha trascinato per questa faticaccia che è la corsa… Non male – ho pensato – proprio per niente male! Ma io avevo altra vita da vivere e lo sport veniva parecchio dopo…Quando lui è venuto a mancare sono saltati tutti gli schemi di una ragazza di 20 anni, ma un certo giorno di maggio ho pensato “dai Simo, riproviamo!” e sono uscita…

Non avevo nemmeno le scarpe adatte, ma ho cominciato a muovere le gambe e con quello il cervello. E più che correvo e più che i pensieri rimanevano alle mie spalle e che la mia bocca si spandeva in un sorriso.
Ed ecco che la passione ha preso campo fino a diventare una sfida con me stessa, coi miei tempi, ma soprattutto uno sfogo, un rifugio dove andare a leccare le ferite di tutti i giorni, un momento di intimo rapporto tra me e il mio cervello.
E quando in gara mi sento in affanno penso a quel “Dai, vieni anche te!” e penso a quanto sarebbe fiero mio babbo di vedermi lì e le gambe riprendono il via fino all’arrivo.
Ecco perché ogni gara è un’emozione. Ecco perché la corsa non smetterà mai di far parte della mia vita.
Simona G.