La parola doping deriva probabilmente da dop, una bevanda stimolante utilizzata in passato da tribù Zulu sudafricane a scopo rituale e per caricare i guerrieri prima delle battaglie. Alla fine dell’800 negli Stati Uniti il termine dope era usato tanto per alcuni preparati d’oppio che per indicare delle misture destinate a drogare i cavalli da corsa; in chiave moderna possiamo senz’altro semplificare il concetto dicendo che è doping qualunque pratica farmacologica e non che permetta a un atleta di rendere oltre le proprie oggettive possibilità. E’ un problema di salute pubblica oltre che d’etica sportiva perché a doparsi non sono solo i professionisti ma sempre più spesso semplici amatori, i giovani e giovanissimi talvolta inconsapevoli della natura delle sostanze che assumono e dei rischi a cui si sottopongono. In Italia queste pratiche sono sanzionabili sia sul piano sportivo che penale e la legge punisce indistintamente gli atleti, chi li sottopone a pratiche dopanti e chi commercia o fornisce sostanze proibite.

I servizi antidoping combattono una guerra quotidiana fatta non solo d’analisi a sorpresa ma anche e soprattutto di costante ricerca biomedica per innovare le metodiche e adeguarle alle nuove forme di doping. I controlli chimici e biologici sono effettuati presso laboratori accreditati dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO): sono in tutto 35 ed in Italia il centro di referenza è a Roma presso il complesso sportivo dell’Acqua Acetosa in un laboratorio gestito dalla Federazione Medico-Sportiva Italiana che analizza quasi 15.000 campioni all’anno. Esistono, poi, anche una serie di laboratori antidoping regionali accreditati che effettuano attività di controllo e tutela sanitaria degli atleti di qualunque livello in un ambito territoriale più prossimo.

I laboratori sono coordinati dalla Commissione Nazionale Antidoping del Ministero della Salute che tra i suoi molti compiti ha anche la predisposizione della lista di sostanze e metodi vietati. A livello squisitamente sportivo l’azione di contrasto al doping è appannaggio del CONI che a sua volta recepisce le direttive internazionali della WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) della quale adotta politiche e regolamenti; tutte le Federazioni Sportive Italiane affiliate al CONI devono obbligatoriamente avere un codice antidoping conforme a quello WADA. Il CONI s’avvale del Comitato Controlli Antidoping per pianificare e organizzare i controlli in competizione e fuori dalle gare; la Procura Antidoping, invece, è l’organismo indipendente che gestisce i risultati delle analisi e mette in essere, in via esclusiva, tutti gli atti necessari all’accertamento delle violazioni informando anche la Procura della Repubblica affinché, eventualmente, proceda a contestare il reato penale. Gli atleti positivi vengono giudicati dal Tribunale Nazionale Antidoping articolato in due sezioni indipendenti con collegi giudicanti distinti.