... lui non voleva andarci, non voleva lasciare le sue radici, non voleva perdere i suoi amici e sopratutto non voleva lasciare la sua città e la sua amata…

Da queste poche righe si evince che il nostro protagonista “NON VOLEVA” … ma cosa non voleva?

Torniamo indietro nel tempo siamo nel 1961 quando nasce in una ridente e allora fiorente città del sud, dove il sole fa ardere le pietre ed i cuori di chi ci vive.

Venne alla luce in un insolito per quelle latitudini freddo giorno di Gennaio, atteso da uno stuolo di parenti ed amici emise il suo primo pianto alle 14,30.

Osannato per essere il primo nipote, nei primi giorni della clinica venne sballottato un pò da tutti, Nonni, Zii, Genitori ed amici se lo passavano come fosse un testimone di una staffetta 4 x 100.

Ma tra tutta quella gente una minuta donna reclamava il suo abbraccio, e quando accolse piangendo il piccolo tra le sue braccia, una lacrima le cadde sulla piccola guancia.

Sono sicuro che quello fu l’imprinting per innamorarsi di lei, che quella lacrima fu un marchio a fuoco, quella lacrima impregnò d’amore il nascituro che proprio in quel momento impercettibilmente fece il suo primo sorriso.

Nei grandi palazzi del sud Italia, quelli che più in alto abitavi e più eri importante (nell’attico abitava l”Onorevole”), vi era la figura del “portiere” il nostro si chiamava Giovanni, era praticamente la mia guardia del corpo, sempre impettito sul portone scrutava ogni mossa che facevo, se qualcuno provava solo a guardarmi storto rischiava grosso, la piccola donna ne era la moglie, vivevano in due piccole stanze con una sola finestra ed un piccolo bagno annesso al cucinotto, all’ ingresso della prima stanza in bellavista c’era una targa con su scritto PORTINERIA, sembrava messa apposta per far capire che lì non ci abitava nessuno ma che vi era solo la presenza per chiedere informazioni e per far vedere che qualcuno faceva la guardia al palazzo, insomma come la targhetta ATTENTI AL CANE.

Di fronte a questa c’era l’interno 1 dove abitava la mia famiglia e dove ho mosso i primi passi, era un appartamento di quattro stanze con vista sul mare, dove nelle giornate di maestrale arrivava il mare nebulizzato ed il profumo di salsedine ad inebriarti le nari.

In un palazzo dove tutto era snob e per il 90% degli inquilini lei era la portiera, per la mia famiglia era molto di più di un’amica era un pezzo di loro…

Arrivati a questo punto come avrete certamente notato ho cominciato a parlare in prima persona… si perchè quella che sto raccontandovi è la mia storia, il perchè sono qui a raccontarvela è presto detto, tutti abbiamo dei rimpianti, e chi più chi meno scheletri negli armadi, pertanto con queste righe vediamo se almeno io riesco a togliermi qualche peso.

I primi anni di vita li ho passati perlopiù in quelle due stanze con quella maledetta targa all’entrata, non amavo quella targa a me faceva rabbia, a me che le persone che più amavo dopo i miei fossero al servizio di tutte quelle persone cosi antipatiche non andava giù.

Tutte le mattine l’onorevole usciva alle 8,50 precise e in tanti anni che ho abitato li’ non l’ho mai visto aprirsi la porta ed il portone di casa e dell’auto che veniva a prenderlo, tutte le sante mattine eccetto la Domenica i portieri dovevano ossequiarlo e magnificare… Poi c’era il cavaliere del lavoro del quinto piano che stronzamente passava il ditino sul corrimano delle scale per vedere se c’era polvere, scendendo di grado dai piani alti si aveva poi l’ingegnere del comune, che stranamente veniva prima del notaio del terzo piano il quale alle 8,30 voleva 1/2 litro di latte ed “Il Mattino” davanti alla porta, avessi potuto ci avrei fatto la pipì dentro ma il latte era confezionato in quei bellissimi cartoncini a piramide ed era impossibile, e poi il pittore, bravissimo, i suoi quadri erano realmente belli ma tanto dipingeva bene quanto era stronzo lui ed il suo cane che pisciava dappertutto, penso che al posto della vescica avesse un’otre da zampogna. Infine al primo piano c’eravamo noi, in attesa di scalare il condominio ( massima posizione terzo piano).

I miei genitori lavoravano tante ore al giorno nel negozio di alimentari e latteria che gestivano poco lontano da casa ed io ero affidato alle cure di quella che poi fu riconosciuta come la mia seconda mamma, si perchè lei non era una tata stipendiata, Nina, questo era il suo nome non lo faceva per soldi, lei lo faceva per amore di quelle persone che la trattavano come una di famiglia… Insomma dicono che di mamma c’è ne una sola io invece ho avuto la fortuna di averne due.

Era bello vedere i loro volti felici insieme sotto lo stesso tetto, lo è ancora oggi nelle foto che conservo con amore, la porta di casa mia era sempre aperta per fare tutt’uno con la portineria, era bello mangiare tutti insieme, insomma era bello condividere tutto quello che la vita ci avrebbe riservato.

Il mio papà era autoctono “verace”, mentre la mia mamma era Toscana e la nostalgia per la verde terra natia cominciò velatamente ad oscurare le nostre giornate, erano gli anni della contestazione il lavoro cominciò a subire una crisi e una nuova allettante prospettiva si aprì ai loro occhi.

Un grande bar con pizzeria veniva ceduto in Toscana ed il salto nel buio era già stabilito…

Ricordo ancora con tristezza i mesi del distacco, ero nel pieno dell’infanzia, e per la rigida educazione impartitami dalle mie due mamme ero scugnizzo fuori casa con gli amici, piccolo ometto educato tra le mure domestiche, poliglotta per mia volontà parlavo con gli amici l’idioma locale e un italiano perfetto alla presenza di mia madre (non senza qualche scappellotto quando fuoriuscivano le radici).

<Che mare piccolo che c’è qua!> questo dissi quando piccolissimo mi affacciai sul ponte dell’Arno un giorno in cui eravamo andati a trovare i nonni materni, ignaro che di li a qualche anno quelli sarebbero stati i miei luoghi, ero ben felice di tornare al mio mare …enorme!

Arrivò il momento, ricordo benissimo che eravamo a metà anno scolastico e visto che i miei avrebbero dovuto sgobbare parecchio nel nuovo bar, feci richiesta di finire la scuola lì ed abitare per i quattro mesi restanti in portineria, per non turbare la mia “sensibilità la richiesta fu accolta…

Finì la scuola e mentre tutti gli amici andavano al mare io con gli occhi lucidi mi avviavo mestamente alla mia nuova dimora.

Non ferire l’orgoglio dei miei genitori fu molto dura e a tutt’oggi non so se ci riuscii, se proprio voglio dire la verità non ho ancora il coraggio di domandarglielo, credo che si vedesse lontano un miglio la mia “felicità”…

L’anno successivo, stesso copione poi l’inverso, scuola in Toscana vacanze nella città natìa, fino a quando 14enne cominciai a lavorare con i miei, da allora solo le ferie!

Quando tornavo la mia tata mi faceva tutte le succulente pietanze che a me piacevano, in 15 giorni riuscivo ad ingrassare anche 5 kg, tornare era un tripudio di emozioni, gli amici, i luoghi e le scorpacciate di pizza (quella vera).

Gli anni passano, ed i viaggi si diradano, molte telefonate e meno visite, una volta le portai a conoscere quella che poi sarebbe diventata mia moglie, ancor’oggi ridiamo pensando a quando tutti seduti a tavola il primo ero io ad essere servito naturalmente con i pezzi migliori, poi venivano gli altri, Nina era dolcemente gelosa della mia ragazza! Nonostante le poche visite nel cuore c’è sempre una lei; Eterna la città, ormai anziana la mia tata.

Non sono mai stato un cuore impavido, non certo un vigliacco, ma negli ultimi anni ci sono andato molto vicino ad esserlo.

In una delle ultime visite mi rendo conto che Nina è cambiata, non riesce a ricordare tutto, è confusa, chiede le cose e subito se le scorda e te le richiede, insomma la vecchiaia e l’halzaimer incombe.

Quando la chiamo, sentire la sua voce incerta mi fa male ed allora le telefonate si diradano, sono stato quasi un anno senza chiamarla.

Un giorno torno a casa, incrocio lo sguardo di mia moglie, ha gli occhi velati, sotto i suoi occhi verdi si nota il rossore di un pianto ancora non sfogato.

Mi dice di sedermi sul divano lei si accomoda accanto a me e tenendomi per mano, lasciando libere le lacrime, mi dice che lei è morta, Nina è spirata ben 6 mesi prima e nessuno dei suoi parenti ci aveva fatto sapere niente.

Non posso biasimarli, sono stato io a non chiamare più per il timore di non esser riconosciuto, sono stato io che maledicendomi ho voluto ricordarla come ai tempi che furono. E’ passato più di un anno ed io ancora non sono riuscito a versare una sola lacrima, ma è arrivato il tempo di farlo, il biglietto del treno è già pronto è ora di andare a chiederle perdono…

“E’ proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non vivere ogni giorno come fosse l’ultimo respiro. E’ proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate, solo perchè le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.

Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.” Pablo Neruda

Non volevo… Con Amore M. L.